Immagina di tornare bambino. Una persona curiosa, vogliosa di esplorare e capace di guardare il mondo con occhi meraviglia e di ascoltare il battito del proprio cuore. Sei in gita allo zoo e sei solo. Non c’è nessun adulto con te, pronto a dirti cosa guardare, cosa merita attenzione o il nome di ogni cosa.
Cammini tra gli animali e ogni passo è scoperta. I tuoi occhi incontrano creature mai viste prima, le tue orecchie ascoltano suoni mai ascoltati prima nella tua vita quotidiana. Persino gli odori sono nuovi, odori che ti avvolgono e ti raccontano una storia.
Improvvisamente davanti a te appare un uccello maestoso. Le sue piume sono come una arcobaleno: il rosso è così intenso che sembra quasi emanare calore, il blu è così profondo che sembra quello del cielo della notte, il giallo abbaglia quasi come il sole di mezzogiorno. L’animale si muove con eleganza, inclinando la testa come se ti stesse studiando, esattamente come tu stai facendo con lui. Di tanto in tano emette un verso, secco e metallico, capace di regalarti una sensazione inaspettata, che non riesci descrivere, ma che non dimenticherai mai.
Pochi passi più in là un enorme felino. Un essere imponente, con un’andatura serena, quasi reale. I suoi occhi ti penetrano. Il suo ruggito è più di un suono: è una vibrazione che attraversa la tua carne e le tue ossa. Quel ruggito arriva fino allo stomaco e blocca la tua respirazione, un antico ricordo primordiale che fa temere per la propria vita.
La sera, rientrando a casa, quando raccontate la vostra avventura accade qualcosa che ve la rovinerà per sempre. Qualcuno vi insegna che il primo animale si chiama “ara macao”, mentre il secondo è il “leone”. Da quel momento, ogni volta che racconterai questa avventura, sempre se penserai che valga ancora la pensa farlo, anziché raccontare le tue emozioni semplicemente utilizzerai delle parole che per te, riassumono l’esperienza in modo elegante. Improvvisamente tutta la ricchezza di ciò che hai visto, ascoltato, annusato e provato, verrà ridotto ad una semplice etichetta. E lo farete sempre più spesso, sempre dando per scontato cose anche con chi non ha mai avuto la fortuna di vedere quegli animali dal vivo. Ti limiterai a nominarli “ara” o “leone”, magari mostrando una loro fotografia o un video. La parola ha sostituito l’esperienza.
Ecco il punto: le parole, per quanto utili, nella società moderna sono diventate gabbie. Tendono a limitare la nostra espressività, soprattutto quando diamo per scontato che chi ci ascolta possieda il nostro stesso bagaglio di emozioni e vissuto. Questo è uno dei motivi per cui adoro studiare il giapponese: un ideogramma non ti limita ad un significato univoco, ma lascia uno spazio di interpretazione, una libertà poetica capace di risvegliare l’immaginazione.
Nel mio lavoro di vocal coach incontro spesso persone che passano ore a preparare discorsi, presentazioni, interviste. Limano e soppesano ogni parola, come se il segreto del successo provenisse da queste scelte. Ma non è lì. Perché “leone” è solo una una parola. Per trasformarla in qualcosa di potente occorre sempre accompagnarla con il ruggito emotivo che portate dentro di voi e che vi ha cambiato la vita. Le emozioni sono la chiave, sempre. Senza di esse, le parole sono gusci vuoti. Solo grazie alle emozioni, quelle vostre, quelle vere, anche un discorso tecnico o un pitch aziendale può diventare memorabile. Che si tratti di presentare una startup, discutere una tesi o raccontare un’idea, ciò che davvero convince e rimane nella memoria degli ascoltatori è l’energia emotiva che avete impresso nella vostra voce.
Ecco perché il Metodo Inborn Voice è tutt’ora scelto di chi vuole fare la differenza. Perché non si limita a insegnarti “cosa dire”, ma ti guida a ritrovare la tua voce autentica, quella capace di portare il ruggito di un leone e lo stupore di un bambino in ogni parola che pronunci. Vuoi saperne di più? Contattaci!
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