Sempre più spesso incontro persone che hanno un’inguaribile voglia di aiutare gli altri e cercano a loro volta un aiuto. Nella tradizione antica ci sono molte parabole che raccontano di questo paradosso. A me piace molto adattare all’era moderna quella che racconta di un padre che rientrando a casa sente odore di fumo. Grazie all’odore sottile e pungente comprende subito il pericolo di un incendio. All’interno della casa c’era i suoi figli intenti a giocare, completamente assorti nel loro mondo immaginario, che non si erano accorti di nulla e sorridevano allo schermo dei loro dispositivi.
Il padre, volendo aiutare i propri figli, li chiamò con forza e disperazione, urlando a squarciagola. Ma nessuno uscì. I bambini erano troppo concentrati nella loro routine virtuale, immersi in quella finzione che aveva preso il posto della realtà. Il padre visto che gridare “al fuoco” non era sufficiente, allora escogitò un inganno per salvarli ad ogni costo. Aveva bisogno di attirare la loro attenzione con qualcosa di importante per loro. Così li chiamo nuovamente invitandoli a venire a vedere i bellissimi giochi che aveva portato loro: bastava uscire per averle.
Chiaramente i figli uscirono. Non perché avessero percepito il pericolo, ma per curiosità. Una volta fuori, i figli compresero perfettamente lo scampato pericolo, ma solo per poco tempo. Non solo tornarono subito a dedicare le loro attenzione ai loro giochi, ma pretesero dal padre i nuovi giochi che aveva promesso per farli uscire.
Questo insegnamento tradizionalmente viene visto come l’invito a mettersi sul piano emotivo di chi non ti vuole ascoltare, ma anche questo è un inganno. Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Quante volte puoi essere li a salvare una persona che non ti ascolta?
Questa storia, che potrebbe sembrare solo metaforica, è in realtà la quotidianità di molte persone. Ogni giorno incontro persone che vivono in case che bruciano lentamente. Non sono fiamme evidenti, ma sono sensazioni costanti: stanchezza nel parlare, fatica a esprimersi, tensione ogni volta che bisogna dire qualcosa di importante. La loro Inborn Voice è lì, intrappolata in abitudini, automatismi, ruoli che ripetono da anni. Non si rendono conto che quella voce, un tempo viva e libera, ora è solo un’eco. Il primo passo per liberare la propria voce è quello che la storia non racconta, ed è semplicissimo: la volontà di volerlo fare!
Chi arriva da me spesso lo fa come i figli della parabola: sono attratti da qualcosa che comprendono essere utile, concreto e immediato. Vogliono migliorare il loro modo di parlare in pubblico, superare la timidezza, comunicare con più impatto. Io ascolto, accolgo, non giudico. Ma so che quello è solo l’inizio. Come il padre della storia, uso parole che possano essere comprese, promesse che possano incuriosire. Ma non mento: semplicemente parlo il linguaggio di chi ancora non si accorge delle fiamme ed è in pericolo di vita. So perfettamente che se non c’è consapevolezza, se non c’è un vero risveglio, il cambiamento non dura e inizieranno le pretese. Chiunque può imparare ad utilizzare la propria voce per sembrare sicuro, ma se dentro resta fragile, prima o poi tutto crolla. Si ritornerà a giocare nei vecchi schemi, a nascondersi dietro le stesse frasi, a parlare per dovere e non per verità. E allora la casa continuerà a bruciare. Forse più lentamente, ma sicuramente più silenziosamente.
Il metodo Inborn Voice nasce proprio da questa consapevolezza: che nessun cambiamento è reale se non parte dall’interno. Non insegno solo a parlare meglio. Insegno a sentire la propria voce per la prima volta. Quella che non ha bisogno di essere modulata per piacere, né alterata per sembrare più forte. Quella che vibra con ciò che sei, non con ciò che vuoi realmente mostrare al mondo.
Quando qualcuno smette di chiedere “come devo fare?” e comincia a chiedersi “cosa realmente voglio comunicare agli altri?”, allora il percorso inizia davvero. Solo a quel punto le fiamme diventano visibili. A volte fanno anche paura, ma non si può più rimanere nascosti all’interno. Si inizia a scegliere di restare fuori, di costruire una nuova voce, una nuova casa.
Il mio lavoro non è darti una nuova voce, ma riportarti a lei. Non è costruire qualcosa di nuovo, ma liberare ciò che è sempre stato lì. E quando finalmente la tua voce esce, autentica, viva, presente, non hai più bisogno fingere ne di promettere. Hai ritrovato la tua verità. Hai ritrovato te stesso. E sai che non tornerai più indietro. Perché ora, ogni parola che dici, è tua. E tua soltanto.
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