Mylena Vocal Coach è da anni coinvolta in prima persona nello sviluppo di tecnologie vocali avanzate, inclusi progetti di intelligenza artificiale che cercano di emulare le sfumature della comunicazione umana. La sua trentennale esperienza le consente di osservare da vicino i progressi di queste tecnologie, ma anche di riconoscerne i limiti. Se si tratta la voce come un semplice dato numerico da processare, qualcosa si perde. Anzi, si rischia di smarrire proprio ciò che rende autentica ogni conversazione: la vibrazione emotiva, l’intenzione e quella risonanza unica che solo un essere umano può percepire e restituire.
L’idea di utilizzare l’IA per insegnare come conversare può sembrare utile, persino geniale: simulazioni realistiche, feedback istantanei, disponibilità 24/7. Un assistente che non giudica e ti permette di esercitarti a parlare, migliorare la dizione, apprendere schemi linguistici, arricchire il vocabolario o prepararsi a colloqui, dibattiti, interazioni sociali. L’idea ha visto coinvolte tutte le principali aziende della Silicon Valley e tutte hanno chiesto dei Feedback a Mylena.
Quando l’IA viene utilizzata a fini di addestramento alla conversazione, e non come esercizio per mettere in pratica quanto appreso in reali interazioni umane, la cosa diventa tragicomica. La conversazione umana autentica non è fatta di frasi “corrette” o risposte “appropriate”. È fatta di intonazioni, di pause, di silenzi che comunicano più delle parole, di sguardi, di percezioni sottili, di vibrazioni. Tutto ciò è vivo. È emotivo. È umano.
Un’IA può riprodurre e riconoscere la forma, ma non la sostanza, che Mylena sostiene da più di 10 anni operare a livello quantistico.
L’IA, nelle sue ultime iterazioni, riesce persino a rilevare segnali superficiali: un tono alterato, parole associate alla rabbia, espressioni facciali, pattern vocali. Può etichettare: “questa persona sembra triste”, “questa frase esprime gioia”, ma questo è ben lontano dal comprendere le emozioni in gioco. Infatti comprendere significa innanzitutto “sentire”, empatia.
L’intelligenza artificiale non ha un corpo, un cuore, né un vissuto. Non ha ferite, né cicatrici. Non ha mai avuto paura di parlare davanti a qualcuno che ama, né ha mai abbassato la voce per non ferire. L’IA può imitare un’emozione, può rispondere in modo empatico, ma non può creare risonanza emotiva. Non può risuonare davvero con l’altro. Non può vivere ciò che viene detto.
Se un’intera generazione si affida all’IA per imparare a parlare, con chi stanno davvero imparando a parlare? Con una macchina. Una macchina che non li ama, non li giudica, ma nemmeno li sente. Si rischia di addestrare persone a “comunicare” in modo formalmente perfetto, ma vuoto. Si crea una conversazione di facciata, dove si dice ciò che si è imparato, non ciò che si sente.
A lungo termine potremmo trovarci davanti a esseri umani che non sanno più riconoscere la voce autentica di un altro essere umano. Che non sanno reggere uno sguardo vero, né sentire la vibrazione di un’emozione genuina. Persone che hanno “appreso” a comunicare, ma hanno smesso di relazionarsi.
La comunicazione non è un codice da decifrare o un esercizio di stile. È il riflesso di chi sei. Se deleghi questo aspetto a una macchina, rischi di perdere la parte più intima e potente della tua umanità. Se anche tu la pensi come noi, contattaci per scoprire come possiamo aiutarti a rendere la tua identità trasparente attraverso la tua voce.
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